La Musica

Il baritono Giovanni Lomi.

di Fulvio Venturi

Nato in una Livorno popolare amante del melodramma, Giovanni Lomi ha raffigurato una singolare, duplice, figura d’artista. Sicuramente affermato pittore, ma anche artista lirico di qualche pregio le cui vestigia professionali possono dirsi, oggi, storicizzate. Fu soprattutto in gioventù che Giovanni Lomi sembrò oscillare tra le due professioni legate una all’arte dei suoni e l’altra a quella dei colori; poi quando il pittore colse sempre più significative affermazioni, il cantante lirico cedette il passo. Non prima però di aver lasciato traccia tangibile della propria attività. Giovanni Lomi nella carriera di cantante professionista, che si estese per circa un decennio, partecipò infatti ad alcune produzioni operistiche che hanno lasciato traccia nella città di Livorno. La prima, nel novembre 1915 è legata all’opera Fedra di Romano Romani. Romani (Livorno 1881 – Baltimore 1958) sembrò per qualche tempo ripercorrere il fortunato cammino del concittadino e predecessore Pietro Mascagni. Nel 1909 una sua opera dal titolo Zulma mise letteralmente a rumore la città di Livorno con un vibrante successo e con Fedra, una “rapsodia tragica”, rapida e cruenta, composta sui versi liberi del poeta livornese Alfredo Lenzoni, in quello stesso 1915 aveva guadagnato un importante riconoscimento nella città di Roma, così come era accaduto nel 1890 a Mascagni con Cavalleria rusticana. Fedra, dunque, dopo un franco successo conseguito al Teatro Costanzi di Roma, fu allestita al Goldoni di Livorno con un cast di assoluto prestigio che radunò i nomi di Teresina Burchi, Eugenio Giraldoni, Carmelo Alabiso, Giuseppina Zinetti, Wanda Ferrario e dello stesso Romani Romani in veste di direttore d’orchestra. Tra questi nomi figurava anche quello del ventiseienne Giovanni Lomi nella parte di Ospite del re Teseo. Si trattò di una nuova affermazione per Fedra e per Romani il quale, di lì a poco, si sarebbe trasferito negli Stati Uniti dove divenne notissimo come talent-scout e trainer di cantanti lirici. L’anno successivo, ancora al Teatro Goldoni, Giovanni Lomi tornò agli onori della ribalta in veste del Marchese d’Obigny in una produzione della Traviata che vide l’impiego di Dina Borelli, anch’essa livornese, come protagonista, il celebre tenore Piero Schiavazzi come Alfredo ed il baritono pisano Amleto Barbieri come Giorgio Germont. Da notare anche la presenza del direttore d’orchestra Enrico Romano che otto anni dopo avrebbe tenuto a battesimo il tenore Galliano Masini nella Tosca del debutto.

Passata la guerra Giovanni Lomi torna in scena per partecipare ad un’altra produzione rimasta impressa nella memoria storica degli appassionati livornesi, Loreley di Alfredo Catalani allestita al Politeama nell’ottobre 1919. Fra i protagonisti il direttore d’orchestra Edoardo Mascheroni, carissimo a Verdi, passato alla storia come “creatore” di Falstaff (Milano, Teatro alla Scala, 1893) e per un… furibondo litigio con Mascagni ai tempi della prima rappresentazione di Iris (Roma, novembre 1898), il baritono Mario Basiola, affermato esponente del belcanto italiano nel Novecento, l’ottimo tenore napoletano Giuseppe Krismer, i soprani Sarah Fidelia Solari ed Elisa Marchini. Giovanni Lomi si presentò nella parte del Landgravio di Oberwesel Rudolfo, personaggio che può essere ritenuto il più impegnativo da lui portato in scena. Si trattò di un gran successo per tutti gli interpreti. Nel gennaio 1924, dunque, presso l’elegante teatro Rossini, la partecipazione alla memorabile operazione che riportò in scena Guglielmo Ratcliff di Pietro Mascagni, spartito tanto caro al proprio autore quanto improbo da realizzare per interpreti, scenografi, ed oggi, registi. Accanto al protagonista Massimo Dionigi, osannato dal pubblico, agirono il baritono Mario Albanese, il basso Enrico Vannuccini, il soprano Alberta Maria Curtis ed il mezzosoprano Luigia Silva. Tra i “ladri e mariuoli” che al termine del secondo atto sono impegnati con una caratteristica “pastorale” di stile tipicamente mascagnano, Giovanni Lomi dette la voce al personaggio di John. Lomi in quel periodo, tuttavia, veniva riconosciuto come un pittore di grandi possibilità e quella fu per lui l’ultima partecipazione ad uno spettacolo lirico.

Non si spense però la passione per il canto. Lomi infatti continuò a prodursi in numerosi concerti lirico-vocali, ove si nota anche un’evoluzione attitudinale con il passaggio al registro di baritono. Tra i diversi colleghi di Lomi nell’attività concertistica si nota il giovane Galliano Masini.

Con l’avvento dei sistemi di registrazione del suono Giovanni Lomi ha lasciato traccia tangibile della propria voce in quattro facciate a 78 giri incise dalla casa milanese Fonotecnica che riproducono l’aria Eri tu da Un ballo in maschera di Verdi e due “classici” del repertorio baritonale allora in voga, il Lied di Schumann I due granatieri, e la melodia Visione veneziana di Brogi, già cavallo di battaglia di Titta Ruffo. Particolare divertente l’etichetta dei dischi reca la scritta “pittore Giovanni Lomi”.