Francesca Cagianelli e Dario Matteoni

Sentimentalità e immediatezza nell’opera di Giovanni Lomi
di Francesca Cagianelli e Dario Matteoni

Dalla laguna veneta a Verona, dalla distesa del Garda alle campagne lombarde,dai vicoli di Chianti a Colle Val d’Elsa, ma soprattutto lungo i suggestivi e remoti quartieri della Vecchia Livorno, l’itinerario di Giovanni Lomi attraverso il Novecento si sostanzia di trasparenze azzurrine, morbidezze madreperlacee, tramature di grigi e riflessi dorati, così come in un tessuto disegnativo che, in omaggio al verbo fattorino, non manca di sagomare tale sapienza luminosa dentro superfici risolte con assoluta modernità.
E se la storiografia critica ha inteso con frequente risoluzione perpetuare l’equivoco di una identificazione macchiaiola della personalità di Giovanni Lomi, si intende in questa sede rivendicarne una vocazione prepotentemente novecentesca, già di per se evidente in opere emblematiche quali possono considerarsi sul versante agreste Campagna livornese- mietitura, caposaldo di tutto un filone dedicato all’epica campestre rivisitata con saldo equilibrio compositivo e moderna concezione luminosa, e, sul versante urbano, Livorno Vecchia – lo Scalo Regio, sotto la cui egida nasceranno tante ricognizioni dei quartieri livornesi, tutti regolati da una consapevolezza della storia architettonica cittadina e della specificità luminosa ad essa legata.
Ed è soprattutto in quel “ senso dell’ora” che Ferdinando Paolieri, seppe intuire quale discriminante di tanta ispirazione di Lomi, che si vuole rinvenire larga parte della sua moderna concezione luminosa, in quanto l’Artista riesce a trasmetterlo con sottile intuizione atmosferica nel corso dei suoi più disparati vagabondaggi estetici, cogliendo sempre una valida opportunità per trasgredire la monotonia del vedutismo ottocentesco.
Se anche soccorrono, al cospetto della sconfinata produzione paesistica di Lomi, gli inevitabili antefatti della sagacia sintetica di Giovanni fattori e della sensibilità percettiva della successione dei piani prospettici di Telemaco Signorini, tutta novecentesca appare la capacità dell’Artista di sondare lo spirito del luogo con una sensibilità completamente autonoma ed attuale, da spettatore di un’epoca insanabilmente moderna, afflitto da una memoria tanto impegnativa quanto appagante.
Il senso della storia resta dunque uno dei massimi strumenti di indagine con il quale Lomi supera l’attimalità della visione ottocentesca, consentendoci di affiliarlo ai tanti protagonisti del Novecento italiano, in grado di avvertire nelle vestigia dei vecchi quartieri cittadini l’eco di una inquietudine tutta contemporanea.
Siano scorci di Palermo Vecchia, episodi di Fiaccherai fiorentini, vedute della darsena Vecchia di Livorno, vicoli della san Remo Vecchia, solitudini dei rustici di Ciociaria, Lomi non sembra affatto interessato a trasferirne una semplice impressione affidata esclusivamente all’immediatezza della visione, ma semmai preferisce elaborarne una visione interiore, nell’ambito della quale muti e diseredati protagonisti di un’anonima generazione di popolani scandiscono un medesimo tempo di umile marginalità, eppure consapevoli che sono solo loro i testimoni della vera storia dei luoghi rappresentati dell’Artista.
Ed è proprio attraverso tali protagonisti che Lomi pronuncia i versi di un’epica novecentesca, attestata da strade, vicoli, e piazze cariche di una memoria storica che solo l’Artista può tentare di raccontare, anche quando gli stessi protagonisti non sono più necessari a tramandare l’identità dei luoghi, ovvero al cospetto del mare, dove solo alla prospettiva illimitata dell’orizzonte resta la possibilità di svelare i più remoti segreti dell’anima.
Tra tutti coloro che si sono pronunciati criticamente in merito alla specificità della vocazione marinista dell’Artista, forse solo Alfredo Jeri è stato in grado di coglierne la capacità di elaborazione di una tavolozza tradizionale in direzione innovativa e personale, restituendola in termini immaginifici: “ Sensibilissimo alle varie gradazioni della luce, egli può renderle in un stesso quadro attraverso una gamma che così doviziosa par prodigio. Per convincersene, basta guardare alcune delle sue vedute marine, dove la luce – la gran luce – è in fondo, e sminuzza e arruffa l’aria e l’acqua, e vien giù e vien giù, e vien davanti attraverso trasparenti tonalità grigie, onde il senso della sconfinata distesa e il respiro e la sinfonia senza voce ti danno quasi un piacere fisico”.