Alfredo Jeri

Alfredo Jeri
( da “Liburni Civitas” anno I Fascicolo 2 – 1928 )

…Nemmeno il molle vivere del ragazzo benestante, alle origini. Lavoro, duro, quello che si fa per commissione, e la mercede basta appena a sfamare. Un tumulto di desideri nell’anima, la visione del futuro da acchiapparsi un pezzettino alla volta, con fatica di sudore e di sangue. E, dentro al sogno, l’uscio da tingere, la mostra da decorare. E’ pur curioso questo avvio comune a tanti pittori dei più noti, e che qualche volta sembra un passo obbligato – un lungo passo – tra l’adolescenza e la prima giovinezza.
Ma quando c’è “ la base”, hai voglia di mettere doppia fila di reticolati! Hai voglia di far boccacce e ostinarti a negare! Fai buchi nell’acqua. Il diavolo s’insegna a scoprire tutte le difficoltà; ed insieme al brivido del successo ti prepara un’illusione, sotto, sotto, nell’ombra. Ma se c’è “ la base” – se c’è dunque, cuore che che basti – non vale alleanza di scoramenti d’invidie e di sottili astuzie! Il giorno viene delle belle conquiste: e allora si vuol degnare, lei, di cambiare opinione, o, grazia sua, essere meno arcigno?
Giovanni Lomi, ormai quasi in cima all’arco dei cinquant’anni, n’ha avute di peripezie! Tutte, anzi,le possibili disavventure che vengono dall’origine oscura, nuda, senza nemmeno un orpello da far rilucere in anticipo. S’è messo a lavorare ostinatamente – quando s’è sentito padrone dei suoi mezzi – e nello spazio di dieci anni ha potuto farsi largo d’intorno, è giunto alle auree porte dell’ufficiale riconoscimento. Ed ha tutti i numeri per proseguire, tutti i numeri per dar dispiaceri a chi non vede con l’animo lieto l’ascesa sua continua.
Un compito abbastanza facile è riservato a chi voglia studiare l’arte di Giovanni Lomi. “Macchiaiolo dei più sinceri ed immediati, tutto ne’ suoi dipinti è così vivo che non è necessario l’ausilio di tenebrose virtù di intuito per le quali ( da un pezzo di qua) si può anche indovinare incomunicabili segreti d’anima da una tela che abbia tre sgorbi e tre chiazze di colore soltanto.
Sensibilissimo alle varie gradazioni della luce, egli può renderle in uno stesso quadro attraverso una gamma che così doviziosa par prodigio. Per convincersene,  basta guardare alcune delle sue vedute marine, dove la luce – la gran luce – è in fondo, e sminuzza e arruffa l’aria e l’acqua, e vien giù, e vien davanti attraverso trasparenti tonalità grigie, onde il senso della sconfinata distesa e il respiro e la sinfonia senza voce ti danno quasi un piacere fisico.
Tutto è oggetto per la sua tavolozza. Architetture remote e architetture aggraziate; case rustiche con sù il vischio e l’edera; animali miti nelle stalle o alla grande aria o in  angolo di strada; paesi adagiati nel sole o nella caligine; quartieri interi, suggestivi, di città medievali. E sempre, i diversi luoghi, con le lor cangianti tonalità, con il loro colore inconfondibile. A Venezia ha rapito il grigio della laguna quando il sole non c’è e i monoliti rossigni e le maioliche e i vetri riflettono luci opache; a Verona le scabre linee dei cortili dugenteschi; a Brescia quell’indefinito risplendere del
Garda che anche se non si vede ti pare appiccicato sui frontoni delle case con tenerezze d’azzurro;
nelle campagne di Lombardia quel duro squadrare degli alberi spogli sul piano infinito.
La più gran messe, naturalmente, in Toscana. Da Chianti misteriosa né suoi vicoli teti, con gli angoli di vecchie torri, a Colle Val d’Elsa su l’arco della vegetazione prodigiosa, tutta rorita di contro al cielo d’un turchino che traspare.
E Livorno, anche, con le sue inconfondibili tonalità dei suoi “ scali “, con l’acqua dei suoi canali verde-nera, con lo sfarfallio della sua aria dove a volte c’è un sorriso matto di gialli e a volte una lama d’acciaio che limita, di qui e di lqua, un gonfiore di nubi brontolone.
A vero dire, di Livorno è la più schietta produzione del Lomi. Ricordo certe vedute della “ Venezia”, scabre e forti, vivide di colori e succose di ambiente, che forse da sole costituiscono la compiuta originalità di colui che può definirsi “ pittor livornese” per eccellenza.
Attaccato alla sua terra, con la prerogativa degli istintivi, Giovanni Lomi convince nelle sue vedute labroniche più e meglio che  in ogni altra manifestazione d’ambiente e d’abilità. Forse è anche esatto dire che poche città come Livorno danno subito un colore tutt’affatto speciale: ed è simpatica prerogativa quella di saperlo cogliere alla prima e alla brava.
Un solo maestro: il Vero. Non perciò, in veste di censore: in veste d’aria e d’armonia. Per cui il Lomi tutto da sé s’è fatto.- pur logicamente seguendo le tendenze in voga – con spirito sempre vigile d’autocritica.
Tra le più luminose tappe della sua ascesa: il Premio Ussi per il paesaggio ( 1924 ); l’esposizione di Brighton, ove l’unico quadro gli fu acquistato per la galleria di quella città; una sua tela messa a far parte della Galleria Capitolina di Roma.
Partecipa a tutte le svariate Biennali e Quadriennali, e dappertutto trova una valanga di ammiratori e di compratori, critica favorevolissima. Si può restare insensibili a questo succeder di “ fatti “, per i quali i pubblici più difficili, gli artisti più alti, gli scrittori più nobili volentieri rendono omaggio al pittore nostro.
Ora sembra venuto il momento di chiederci: quali sono, in conclusione, le particolarità – magari le originalità . della pittura del lomi ? Qualcuna l’ho già detta: prontezza nel cogliere i tremolii dell’aria  e fissarli nella loro trasparenza che eguale non si ripete più; la medesima agilità nel ritrarre ambienti cittadini e ambienti rustici, galline e villani, cavalli e folla davanti a una tenda da fiera.
Ma c’è dell’altro: un particolare trasporto verso i “ grigi”, nei quali, ecco, egli può distendere per intero gli attimi d’una sentimentalità tutta sua, non volgare né forzata, sana e caratteristica della gente toscana, in cui il buon senso non è scompagnato mai dalle intime necessità della fantasia del pensiero.
Ed è questa un’altra ragione per cui il pubblico si accosta ai dipinti del Lomi quasi per riposare lo spirito e ricostruire in sé le scene “ già vedute “, così colte nel vero, con quel privilegio di immediatezza sul quale già troppo ho insistito.
E poi: un fare quasi di noncuranza del disegnare il paese e le figure, così, alla brava, che non ti da mai tuttavia l’idea dell’appicicaticcio e , nello stesso tempo, mai la noia dei contorni troppo definiti. Semplicità di mezzi, come dovrebbe essere in tutti, quando si voglia il consenso di tutti. Al di fuori di certe leggi eterne c’è il tentativo e lo sforzo. Null’altro.
Se ne togli l’osservazione per la quale, in Lomi, il colore è incastrato nel segno come necessario complemento perché i piani, ammorbiditi, si allontanino e i volumi si formino, non saprei cos’altro dire di questo  volitivo pittore.
Forse questo: che nato paesista ( proprio con il gusto della veduta, tagliata così, ecco, con questo rilievo d’alberi, con l’arco del ponte laggiù tra le fratte polverose, e i buoi monumentali tutti bianchi nel sole), nato paesista, dicevo, dipinge gli animali con tal senso di movimento e di interiorità da sentir la voglia di accostarci di più a quei quadri che li ritraggono e curiosar su le sagome buffe e far cenno che non è il caso d’aver paura….
Raggiunte le più belle virtù – onde, nella trama degli azzurri e dei viola, dei gialli e dei grigi, gli è possibile far dono di opere in ogni senso compiute – Giovanni Lomi continua con una certa sia aria di tranquillità a conquistar premi e rinomanza, dritto laggiù dove nell’arco del suo futuro anche ci sono lauri….